Questa è una storia vera. Una di quelle che non sentirai al telegiornale e non troverai nei libri di storia. Una di quelle che fanno la vita di tutti i giorni.
A Roma, in agosto, il caldo ammorbidisce l’asfalto e i tacchi lasciano il segno sul marciapiede. Adriana ha dimenticato a casa gli occhiali da sole e alzando lo sguardo verso il display della fermata dell’autobus abbassa la falda del cappello. Il display è rotto. Non è dato sapere se l’autobus è passato o sta passando. Si guarda intorno, tre persone in attesa. Adriana non ha mai voluto prendere la patente. A lei piace incontrare persone, ascoltare storie e tutto questo non puoi averlo seduto nella tua macchina. Ma girare a Roma con gli autobus è un’impresa di grande tenacia, soprattutto in agosto. Sul marciapiede di fronte una mamma spinge un passeggino. Il bambino le dice qualcosa, lei si ferma e Adriana pensa “Ora gli dà il cellulare in mano per distrarlo.” E invece no. La giovane donna si china sulle ginocchia davanti al bambino, sorride, lo guarda negli occhi e quell’atteggiamento di cura e amore riporta Adriana a un tempo lontano. Un tempo in cui quello sguardo era su di sé.
Estate 1982. L’estate dei mondiali di calcio vinti dall’Italia. Adriana aveva dieci anni e una chioma di capelli ricci e folti come quelli di sua madre che tutti dicevano somigliasse a Mina, la cantante. Anche sua madre si chiamava Adriana. Curioso avere il nome della propria mamma, ma a lei piaceva tanto. Una donna che sorrideva sempre, una di quelle mamme che ti fanno giocare in casa con i coriandoli, una di quelle che si ammazzano di fatica per organizzare feste dove si divertono tutti e la sua felicità è nel vedere gli altri contenti. Adriana sente una malinconia buona a ricordarla ora che non c’è più.
Il calore dell’asfalto sale sulle gambe. L’autobus non passa. La donna con il passeggino riprende il suo cammino. Lei ritorna con i pensieri a quell’estate dell’’82. Era in un villaggio vacanze con sua madre, suo fratello e sua sorella. Non esistevano i cellulari. Alle diciannove, ogni giorno, risalivano dalla spiaggia per mettersi in coda alle cabine telefoniche e chiamare i nonni e il papà rimasto a Roma per lavoro. Ma un giorno dalla reception chiamarono la signora Adriana Costanzo al telefono. Sua madre si affrettò tirandosi lei dietro, le ciabattine con l’elastico e quel costume a quadretti bianchi e celesti che le piaceva tanto. La mamma afferrò la cornetta telefonica e Adriana vide mutare il suo sguardo. Gli occhi diventarono più grandi, increduli, e poi la bocca si aprì in un largo sorriso che diventò vistoso, mentre continuava a ripetere ma davvero? Ma è sicuro? Sono io Adriana Costanzo La ringrazio, la ringrazio e ringraziò tante volte che Adriana bambina rise perché era davvero buffa la sua mamma in quel momento. Dopo anni di precariato, di cattedre vaganti in paesi sperduti da raggiungere con improbabili corriere, il Provveditorato agli studi le assegnava una cattedra presso il liceo Giulio Cesare. Era diventata un’insegnante di ruolo. Adriana grande prese tra le mani il volto di Adriana bambina. “Non devi mai mollare i tuoi sogni. Mai e poi mai” le disse fissandola negli occhi e quello sguardo si ancorò al suo per sempre.
“Signo’, da quand’è che non passa?” interrompe i suoi pensieri una donna dalla pelle bruciata dal sole, occhiali scuri e canotta a mostrare le spalle muscolose. “Sono qui da circa dieci minuti” risponde lei tornando in fretta con il pensiero a quello sguardo amorevole che in fondo era stato l’inizio di tutto. Perché se sua madre non l’avesse guardata in quel modo lei forse si sarebbe arresa. Non avrebbe creduto nelle sue capacità e le sarebbe rimasta addosso quella sensazione di estraniamento che la inquietava. Come quella volta che aveva organizzato la festa di Capodanno con una sua amica a Fregene e poi avrebbe voluto essere in un altro posto. Avevano invitato troppi amici che a loro volta avevano invitato altri amici e in breve la festa era degenerata. Avevano tutti bevuto troppo. Allora era salita in terrazza per guardare il mare e lontana dalla musica e dal disordine si era resa conto che altre persone erano con lei. Non a tutti piacevano le feste in cui sballarsi.
La ragazzina accanto a lei sbuffa. “Non passa” esclama ad alta voce lo sguardo a cercare lontano il miraggio di un autobus che non arriva. Adriana accenna un sorriso per rassicurarla, ma intanto segue i suoi pensieri perché la vita le sta dicendo qualcosa e non vuole distrarsi. In fondo quella festa, di cui ha un terribile ricordo, le ha raccontato molto sulle persone: altri vivono il suo stesso sentire e non hanno nessuna intenzione di limitarsi a uno sballamento nella vita. Cercano altro. Come la protagonista di quel film. Com’è che si chiama? Una commedia francese. Ah sì, ecco, il titolo è Parole, parole, parole e c’è questa giovane protagonista che contro tutti si ritrova a elaborare una tesi di laurea in storia che non interessa a nessuno. Un po’ come capita a lei che si sente ripetere sempre la stessa domanda “Ora che ci fai con una laurea in antropologia?” E la realtà è che non lo sa bene neanche lei. Però nel film la protagonista non molla mai. Come sua madre. Così, mentre l’autobus non passa e la gente smania spazientita intorno a lei, Adriana dà vita a un pensiero che da giorni le vortica nella testa. Chiuse nei cassetti, mimetizzate nella libreria di famiglia, le tesi di laurea sono la rappresentazione di un sogno nelle quali le persone hanno investito energie emotive e fisiche. Ma se invece quelle tesi venissero spolverate? Se le persone fossero felici raccontandole ad altri? Ogni incontro potrebbe diventare una festa del Bel Sapere dove celebrare il talento e la passione di ognuno.
Da lontano, nell’immagine sfocata dall’aria calda, Adriana vede arrivare l’autobus. Si accoda agli altri salendo, poi si guarda intorno. Una donna sui cinquant’anni con indosso un vestito di cotone molto colorato legge un libro. “Novecento” di Alessandro Baricco. Adriana adora quel libro. Così siede accanto alla donna, comincia a parlarle e in breve finisce con il chiederle Ma lei ha una tesi di laurea nascosta nel cassetto? Poche fermate e la donna ed Adriana si scambiano i numeri di telefono. Da qualche parte bisogna pur cominciare per realizzare un sogno.
Il 10 aprile 2014 nasce Stesi dalle Tesi, il primo format di storytelling partecipato che dà nuovo valore e vita alle tesi di laurea in una condivisione di saperi, storie, talenti ed esperienze. Da quel giorno Stesi dalle Tesi ha rallegrato e creato nuovi incontri in tutta Italia, ha raggiunto la Croazia ed è in attesa di approdare a Bruxelles, Copenaghen e Istanbul. La pandemia ha reso impossibili gli incontri in presenza, ma Adriana non si è arresa e ha continuato a creare legami tra le persone utilizzando una piattaforma digitale.
Adriana Migliucci è antropologa e manager culturale, fondatrice dell’associazione Terre Vivaci e della start up “Il Bel Sapere”. Questo è il link del suo format www.stesidalletesi.it
Ringrazio Adriana per avermi donato il suo “Da ora in poi”: l’attimo in cui tutto cambia per sempre.
Questo articolo è pubblicato dalla socia e scrittrice Catia Proietti che dedica parte del suo tempo alla crescita del Curvy Pride Blog.
Un grazie a tutte le socie e i soci che credono nell’Associazione CURVY PRIDE – APS impegnandosi nel volontariato.
