Con la parola disfunzionale si intende ciò che non corrisponde ai propri compiti o fini. Io direi più ciò che fa male. Esistono rapporti che ci causano ferite indelebili. I momenti difficili e i periodi dolorosi ci fanno cambiare. In questa rubrica vi racconterò alcune storie di vita di chi, in qualche modo, ce l’ha fatta.
La storia di Giada
Si chiamava Giada e la sua passione era la Luna.
Si sentiva visceralmente coinvolta da essa, cambiava l’umore in base alle varie fasi lunari, si diceva che “Se la luna cambia le maree può cambiare anche il mio umore“. Era di carnagione pallida, quasi lunare, per l’appunto, ma con grandi occhi color miele dalla leggera forma orientale.
L’oriente insieme alla luna, le sue grandi passioni. Cucinava poco e quel poco che cucinava erano tutti piatti orientali. Era una ragazza particolare, con una distanza fisica appariva agli altri più “vicina” emotivamente, sfruttava la tecnologia che la aiutava a essere come avrebbe voluto essere: spensierata, allegra e affettuosa. Da vicino invece, si chiudeva, temeva il contatto.
Anche la luna sembra più vicina da distanza? Forse perché vorremmo averla più vicina ma poi da vicino ci farebbe troppa paura.
Giada aveva due facce come la luna, una più calda e una meno calda. Aveva timore e metteva distanza tra lei e gli altri. Aveva bisogno di tempo, c’è chi impara prima a correre che a camminare e chi come lei gattonava per mesi prima di alzarsi in piedi.
Un giorno Giada, che chiameremo Luna, incontra Lui, Andrea, che chiameremo Sole.
Sole era energico, vivace, avvolgente, a volte istintivo ma anche sensibile e attento. Si fidava subito delle persone, nonostante tutte le bruciature che i suoi raggi avevano subito si fidava ancora, voleva ancora credere che sarebbe arrivato qualcosa/qualcuno che avrebbe calmato quei suoi bollenti spiriti dandogli serenità e un po’ di acqua su quelle ceneri.
Sole vuole vedere felici le persone, dopo un passato disfunzionale in cui feriva ed è stato ferito, ha deciso di smetterla e aprire le braccia al mondo, perché vuole che le persone lo ricordino così, come uno che ce l’ha fatta, anche se il percorso è ancora lungo.
Quando Sole e Luna si incontrano, Sole inizia a correre per andarle incontro, ma Luna non ce la fa, indietreggia e gli mostra l’altra faccia. Quelle fredda, grigio azzurra. Quella che riesce a gestire le emozioni trattandole con distacco, impenetrabile come solo la Luna sa fare. Anche se la Bertè cantava E La luna bussò alle porte del buio, fammi entrare, lui rispose di no.
La nostra storia cambia un po’ gli addendi dell’equazione rispetto alla canzone.
All’indietreggiare di Luna, Sole non fa come ha sempre ha fatto, ma aspetta, cerca di essere lui a studiare la situazione, dimostrandole che non morde. Funziona e lei si avvicina, prende fiducia e inizia a raccontargli le sue paure.
Anche Sole ne ha, ma lui ha un pregio: si distrugge ma poi si ricostruisce, come un Lego, e non perde mai la fiducia. Cosa che forse Luna invece aveva perso.
Luna aveva paura degli altri, ma anche di se stessa, di non provare più emozioni o forse di provarle troppo, perché le emozioni ti fanno prima salire tanto e poi scendere giù.
Sole l’aveva capito e vedeva tutto quel bello che lei di se stessa non riusciva a vedere più.
Un giorno Sole decide di portarla in un luogo dove avrebbe potuto curare le sue paure: sulla ruota panoramica. Lui crede che lei così possa davvero cambiare la sua prospettiva, offrendole la leggerezza che può servirle. “Vedi Luna, da quassù nulla fa più paura, sei tu a governare le tue emozioni e queste ci rendono vivi, non temerle!”
Luna Scoppia a piangere, lo guarda intensamente e impara che la vita alle volte ci può rivelare sorprese che non ci aspettavamo più e capisce che gli umani non sempre graffiano o bruciano ma bisogna guardare ogni persona come fosse unica.
Questo racconto è scritto da Valentina Casalegno, socia di CURVY PRIDE – APS. Ringraziamo tutte le socie e i soci che dedicano il loro tempo alla crescita del Curvy Pride Blog, impegnandosi nel volontariato.
Nata sotto il segno dei gemelli, Valentina ama tutto ciò che è passione allo stato puro. Le piace mettersi in gioco ed è appassionata di scrittura. Laureata in comunicazione pubblicitaria, ha nel cassetto un libro che vorrebbe pubblicare. Una delle sue passioni è parlare con gli sconosciuti, ascoltare le loro storie e sapere cosa li ha portati lì in quel momento. Si definisce “Reporter di vite”, ed è proprio quello che fa attraverso il nostro Curvy Pride Blog.
Tondo rimanda a qualcosa di perfetto. Pensate solamente al cerchio di Giotto. A tutto tondo indica ciò che può essere visto, osservato e contemplato da tutti i lati e le donne, a partire dalle loro forme fino ad arrivare al loro universo più completo, ne rispecchiano in pieno il concetto. Obiettivi, speranze, sogni, delusioni e amore. Sì, perché l’amore è tondo. Non lo sapevate?
Ospite di oggi: Ruben De Luca.
Sì, oggi il mio ospite è un uomo. No, non sono impazzita! Se fino a oggi ho intervistato solo donne non vuol dire che io sia contro gli uomini. Mai stata! Vero, il titolo potrebbe trarre in inganno, ma quando descrivo la rubrica nella parola “amore” è sottinteso il coinvolgimento anche degli uomini. Parlare di donne non vuol dire escludere l’altra parte del cielo e sono sempre più convinta che un intelligente scambio di visioni e opinioni, soprattutto perché spesso agli antipodi, non possa far altro che accrescere ognuno di noi.
Ho avuto il piacere di conoscere Ruben De Luca personalmente anni fa, per puro caso. Attento, disponibile e, seppur a volte spigoloso, sempre sincero. Un po’ come me e forse per questo siamo diventati amici. Approfitto, dunque, della mia amicizia con l’ospite per prendermi la libertà di dare del tu anche a lui, come ho fatto con tutti gli altri.
Caro Ruben, a te l’onore di essere il primo uomo intervistato nella mia rubrica. Una rubrica, finora, tutta al femminile. Che effetto ti ha fatto la mia proposta?
Mi ha fatto davvero molto piacere, Cristiana. Essere il primo in qualcosa, regala sempre delle sensazioni stimolanti e, quindi, voglio salutare con simpatia tutte le lettrici di questa rubrica, in qualità di primo uomo intervistato.
Sei conosciuto, anche grazie alla televisione, come famoso criminologo. Vuoi spiegarci, in breve, in cosa consiste il tuo lavoro?
Bella domanda! In effetti, spesso ho la sensazione che la figura del criminologo sia percepita come qualcosa di evanescente, che non si sappia bene dove collocarla. Per prima cosa, sfatiamo un mito radicato nell’immaginario collettivo: in Italia, il criminologo non fa quello che si vede nei film americani. Non va sulla scena del crimine, a meno che non faccia anche parte della polizia o dei carabinieri. Il criminologo che si è formato in ambito universitario, come me, può essere chiamato a fare delle consulenze tecniche in fase processuale, ma non partecipa direttamente alle indagini.
Non esistendo un corso di laurea specifico, si può arrivare alla criminologia attraverso diverse strade, infatti esiste l’avvocato criminologo, lo psichiatra criminologo e così via. Nel mio caso, io sono uno psicologo criminologo e mi occupo essenzialmente di docenze e scrittura di saggi e articoli. Da più di 25 anni, faccio lezioni in corsi e master in tutta Italia e ho scritto diversi libri, specializzandomi in settori ben definiti della criminologia: serial killer, crimini sessuali, terrorismo internazionale, culti distruttivi e manipolazione mentale, stalking e femminicidio.
Su richiesta, fornisco anche consulenze criminologiche a pagamento, soprattutto a donne che hanno bisogno di uscire da una relazione patologica.
È stato il tuo lavoro, corredato dalle conoscenze nel campo della criminologia, a suggerirti di occuparti dei consigli da dare alle donne per non cadere in certe trappole, oppure è un istinto che hai sempre avuto?
Sono cresciuto in un ambiente femminile, con mia madre e mia nonna, quindi il mondo delle donne lo conosco bene fin da piccolo e mi ha sempre affascinato. La complessità del cervello femminile è molto stimolante, rispetto all’essenziale basicità di quello maschile.
In criminologia, il primo amore sono stati i serial killer poi, dal 2009, ho deciso di occuparmi anche di stalking e femminicidio, focalizzandomi sulla prevenzione. Ho preso questa strada dopo essermi accorto che, di questo argomento, si occupano quasi esclusivamente donne, che siano criminologhe, psicologhe, assistenti sociali o altro, poco importa. Gli uomini sono quasi del tutto assenti e, sinceramente, credo che non si riuscirà mai ad azzerare la strage delle donne finché gli uomini impegnati in prima linea non saranno molti di più. Non è con la ghettizzazione del maschio che si potrà raggiungere quella integrazione collaborativa tra maschile e femminile che è fondamentale per creare un mondo migliore fondato sul rispetto reciproco.
Sono pienamente d’accordo. Secondo la tua esperienza, le donne possono riuscire a non cadere in certe situazioni pericolose? Se sì, come?
Per non cadere in situazioni pericolose bisogna, per prima cosa, riconoscerle. Senza la consapevolezza è impossibile. Ecco perché, da diversi anni, tengo dei corsi specifici nei quali eseguo il raffronto tra come amano gli uomini e come amano le donne. Perché siamo due pianeti differenti, è inutile nasconderlo, e deve essere un uomo a spiegare come funziona il nostro cervello di maschietti dotato solo di due neuroni che, raramente, s’incontrano. La reazione tipica delle donne che frequentano i miei corsi è di stupore, c’è un prima e un dopo: la maggior parte di loro, al termine della lezione, confessa di non essersi mai resa conto veramente del modo di ragionare maschile. Spesso, le donne tendono a interpretare le azioni maschili secondo il loro personale schema mentale, è una cosa che facciamo un po’ tutti, ma è un’abitudine profondamente sbagliata che può causare danni irreparabili.
Quindi, prima di tutto, serve acquisire consapevolezza del mondo maschile.Poi, ovviamente, è necessario lavorare sulla consapevolezza di se stesse, dei propri punti deboli e vulnerabilità. Essenzialmente, le donne devono imparare a smettere di sentirsi in ostaggio del senso di colpa, perché i manipolatori e gli psicopatici si nutrono di questa specifica emozione femminile, alimentandola in continuazione. Tramite le mie consulenze, negli anni ho conosciuto tante donne che erano tormentate da sensi di colpa onnipresenti nei confronti degli uomini con i quali avevano una relazione: “forse non gli dimostro abbastanza quanto lo amo”, “forse ha bisogno che gli dia più attenzioni”, “ha sofferto tanto da piccolo, quindi adesso è compito mio fare in modo che non soffra più”, eccetera, eccetera. Basta! Questi pensieri sono distruttivi perché allontanano la donna dall’obiettivo di raggiungere la felicità e la sua realizzazione personale. La sindrome della crocerossina, cioè la tendenza a sostituirsi alla madre, alla psicologa e all’assistente sociale per risolvere i problemi di un uomo, è benzina che contribuisce ad alimentare il fuoco che porta alle tragedie che leggiamo quasi quotidianamente sui giornali.
Dal momento che, come hai giustamente detto, non si arriva da nessuna parte da soli, quanto è importante, secondo te, educare non solo le donne, ma anche gli uomini a gestire le proprie emozioni?
Hai toccato il punto dolente. Le leggi non servono a nulla se non si parte dall’educazione emotiva e sentimentale. Alcuni uomini devono imparare che la fragilità è una risorsa, che piangere non è qualcosa di cui ci si debba vergognare. Soprattutto, alcuni uomini devono imparare che le donne hanno il sacrosanto diritto di dire NO: no a un rapporto sessuale, no a mandare avanti una relazione, se non sono più innamorate o non si sentono a loro agio.
Purtroppo, alcuni uomini sono rimasti ancorati alla tradizione che vedeva la donna completamente sottomessa all’uomo, perché la donna non aveva il diritto di divorziare o di controllare il proprio corpo. Fin dalla notte dei tempi, la società è stata incentrata sulle esigenze e sui desideri del maschio e la donna è stata sempre considerata una “costola” dell’uomo. Adesso, qualcosa si sta muovendo ma, se consideriamo tutta la linea temporale della storia, ci accorgiamo che il cambiamento è partito da pochi anni. Fino al 1963, nel codice penale italiano esisteva una norma definita ius corrigendi per cui un marito aveva il diritto di picchiare una moglie se “si comportava male”. Stiamo parlando di 60 anni fa: può sembrare tanto dalla nostra prospettiva di esseri viventi nel qui e ora ma, nella storia dell’umanità, rappresenta un tempo infinitesimale.
C’è ancora molta strada da percorrere per cambiare la mentalità maschile atavica, sviluppata su una tradizione culturale secolare.
Analisi quanto mai vera e concreta. Tu, però, oltre ad essere criminologo sei anche scrittore. Ci puoi dire qualcosa di più, cosa hai scritto?
Principalmente saggi di criminologia. Ho iniziato nel 1994, scrivendo una serie di articoli per una rivista del settore, poi è arrivato il mio primo saggio nel 1998, Anatomia del serial killer (Giuffrè Editore), uscito in una nuova edizione ampliata nel 2001. Fra i titoli a cui sono particolarmente affezionato, ci sono: Il terrore in casa nostra (Franco Angeli, 2002), un libro sul terrorismo islamico nel quale Arrigo Levi mi ha fatto il grande onore di scrivere la prefazione; Omicida e artista: le due facce del serial killer (Magi, 2006), in cui confronto, in una prospettiva unica e originale, il serial killer e l’artista figurativo; Donne assassinate (Newton Compton, 2009), il mio ingresso nel mondo femminile, in cui mi sono occupato delle vittime e non, come si usa di solito, degli assassini; Amare uno stalker. Guida pratica per prevenire il femminicidio (Alpes, 2014), un manuale di consigli pratici che ho scritto dopo aver intervistato 100 donne che sono state vittime di uomini manipolatori, ma che sono riuscite a salvarsi. E l’ultimo nato del 2021, Serial Killer. Una lunga linea di sangue attraversa l’Europa (Newton Compton), il primo studio scientifico sull’omicidio seriale in Europa.
Nel 2009, invece, ho pubblicato il mio primo, e finora unico, romanzo: Dietro il sipario (Curcio).
Una bibliografia di tutto rispetto. Hai nuovi progetti lavorativi in mente per il prossimo futuro?
Proprio adesso, sto ultimando il nuovo libro sui serial killer che sarà pubblicato sempre da Newton Compton, il mio editore preferito, nel corso di quest’anno. Una novità assoluta per il mercato italiano, un “Trivia Book” sui serial killer, un format molto in voga nei paesi anglosassoni: un libro di risposte a tutti i “perché” che vengono in mente quando si pensa ai serial killer, con aneddoti, curiosità e una serie di quiz attraverso i quali gli appassionati potranno misurare il loro livello di conoscenza dell’argomento.
Naturalmente, continuerò a tenere corsi e singole lezioni sulle tematiche a me care, aggiornando costantemente la mia formazione. Vorrei diventare a tutti gli effetti un romanziere, perché sono da sempre affascinato dall’universo della narrativa. Nel cassetto, ho un paio di romanzi che aspettano solo un editore che li voglia pubblicare: ovviamente, si tratta di thriller, perché non credo che sarei in grado di scrivere altri generi.
Inoltre, ho iniziato quest’anno un nuovo lavoro come psicologo scolastico. Mi piace moltissimo stare in contatto con bambini delle elementari e ragazzi delle scuole medie, per cui ho la possibilità di dare il mio contributo per formare le nuove generazioni di uomini e donne che, si spera, potranno finalmente vivere liberi nel rispetto reciproco.
Questo tuo ultimo impegno mi sembra essere degno di nota: lo vedo come una piccola scintilla per una vera costruzione. Hai un messaggio a cui tieni particolarmente che vuoi donare alle donne?
La libertà ha un prezzo da pagare e, a volte, è molto alto. Ma vale sempre la pena lottare per raggiungerla e difenderla.
La prima cosa che dovete fare è amare voi stesse perché, se non siete in grado di farlo, non potrete amare in maniera equilibrata nessun altro. La dipendenza affettiva non porta mai a nulla di buono, anzi, vi condurrà ad annullare la vostra personalità e questo percorso con conduce mai alla felicità.
Ringrazio moltissimo Ruben per i suoi consigli e la disponibilità nel rispondere alle mie domande. Sicuramente, in questo mio piccolo spazio, non c’è stato modo di essere esaustivi come avemmo voluto. Per descrivere e approfondire il mondo del mio ospite avrei avuto bisogno di parlarne in più puntate ma, per rimanere in tema, avrei dovuto sottoporvi a troppo… stalking!
Mi auguro, però, di aver lanciato un sassolino, di quelli che accendono la curiosità. Se vorrete approfondire gli argomenti trattati troverete sul web tante interviste a Ruben De Luca e, sulle varie piattaforme online e non, tutti i suoi libri.
Questa intervista, come tutte le altre che ho avuto piacere di fare, mi ha fornito numerosi spunti per nuovi argomenti da approfondire in seguito: quanto può aiutare un supporto efficace e professionale, quanto questo può essere utile per accrescere la propria autostima e quanto può essere importante il saper dire un sonoro NO. Spero di poter avere ancora ospite Ruben nella mia rubrica.
La vera libertà è essere quelle che siamo. Sempre.
Per essere la protagonista del prossimo articolo SCRIVIMI QUI
Sono nata nel 1968 – contate in silenzio – a Roma. Mi muovo esclusivamente con i mezzi pubblici perché non guido e non potrei mai vivere senza Trastevere, il Colosseo, le stupende fontane della Capitale e i fastidiosi sampietrini. Da che ho memoria ho riempito di scarabocchi tutto ciò che ho avuto la fortuna, o la sfortuna fate un po’ voi, di avere a portata di mano: dal muro di casa dietro il divano del soggiorno (avevo quattro anni), a ritagli di carta, quaderni e diari. Da allora è stato un susseguirsi di poesie, racconti, romanzi e favole per bambini, il tutto condito da premi, pubblicazioni e gratificazioni varie. Golosa di dolci e di emozioni. Amante di viaggi e fotografie. Adoro Vasco e i Queen… sì, lo so che sono agli antipodi, ma così è! Se vuoi contattarmi in privato, scrivimi qui: cristiana.ian@libero.it
Riceviamo e pubblichiamo con piacere questo articolo scritto da una nostra lettrice. “Sono Marina, abito ai Castelli Romani e ho la passione per la pittura. Ho scritto questo racconto per il Curvy Pride Blog per parlare di ricordi.”
Passano i giorni, i mesi, gli anni. La valigia è sempre più piena. I ricordi hanno peso, volume, occupano spazio. A volte ti ci metti a rovistare dentro e trovi emozioni che credevi di aver perso: questa è quella giornata al mare! Guarda un po’ il mio primo giorno di lavoro dove si era nascosto, Oddio, ma c’è anche la paura e la curiosità della prima ecografia al mio terzo mese di gravidanza! E questa? Ma sì, questa è l’emozione di quando Davide è stato promosso all’esame di guida!
Quando i nostri figli crescono ci sembra quasi un miracolo, gli abbiamo incerottato le ginocchia sbucciate, soffiato i nasini colanti, gattonato con loro, appeso palline colorate su un albero di Natale sintetico, frenato a muso duro i loro capricci, accolti in abbracci calorosi quando tornavano sconfitti nelle loro battaglie. Vittorie o sconfitte che gli consentono di crescere.
L’esame di guida è un pezzetto della conquista della loro autonomia. Per loro è una conquista, per noi genitori è anche un pensiero legato a nuove preoccupazioni: starà attento? Si limiterà nello schiacciare il pedale dell’acceleratore? Sarà accorto e responsabile? E gli altri automobilisti saranno prudenti?
Tante domande, mille paure e noi non possiamo fare altro che guardare il cielo e raccomandarci a chi c’è lassù. Perché lì, tra le nuvole, abitano le persone che abbiamo amato e adesso non ci sono più, ed è a loro che affidiamo il nostro bene più prezioso.
Sono passati un po’ di anni da quell’esame, ma è così vivo in me quel giorno. Davide ha superato la teoria e, dopo svariate lezioni di guida, può presentarsi per la pratica. Il giorno stabilito lo accompagno sul posto da dove partiranno tutti gli esaminandi. Arriviamo dove ci sono già parecchie persone, molte sono mamme che come me accompagnano i futuri -si spera- patentati.
Siamo tutti abbastanza tesi e aspettiamo impazienti che questa attesa abbia una fine, qualunque essa sia! Arriva finalmente il momento, gli istruttori prendono posto in auto e al volante gli esaminandi, uno dopo l’altro. Davide è il quarto o il quinto sulla lista, e quel pomeriggio è quasi una strage! In molti scendono dalla macchina con la faccia della sconfitta: l’esaminatore è severo e Davide è sempre più in ansia.
Tocca a lui adesso! Sale in auto, lo guardo di sottecchi e spero che faccia tutto giusto, vedo che sistema lo specchietto retrovisore, allaccia la cintura di sicurezza, mette la freccia e parte. Io finalmente respiro e aspetto.
La mia agonia dura una trentina di minuti e poi, in lontananza, vedo la macchina con la scritta Autoscuola dirigersi verso la piazzola di fine esame. Quasi non ho il coraggio di guardare, ma lo faccio: il mio frugoletto ferma il mezzo, spegne il motore, slaccia la cintura di sicurezza e si volta verso il passeggero al suo fianco; si parlano e Davide fa sì con la testa, poi apre lo sportello e scende dalla macchina. Ha una faccia impassibile, nessuna espressione che mi aiuti a capire se è andate bene oppure no.
Cammina lentamente, le braccia lungo il corpo e cerca il mio sguardo. Mi trova, i nostri occhi si incontrano e lui fa un gesto, piccolo, lo vedo solo io. Con una leggera rotazione del braccio mi offre il palmo della mano e io sorrido. La sua mano è diventata uno scrigno e il tesoro è la sua patente di guida!
Marina Stazi
PS: Ho voluto arricchire questo articolo con le immagini dei miei quadri. Non ho inserito le didascalie per lasciare che ciascuno possa interpretarli a modo suo e dare un significato personale alle mie creazioni.
Ringraziamo tutte le persone che dedicano il loro tempo alla crescita del Curvy Pride Blog, impegnandosi nel volontariato.
Questo è il diario di Agata. Chi è Agata? Sono io, sei tu. È la tua migliore amica, tua sorella, la vicina di casa che canta mentre stende i panni. È la donna romantica che piange guardando un film, la guerriera che si sveglia presto per andare al lavoro e che si destreggia tra figli, famiglia e doveri. Agata convive con i suoi loop, invadentissime paranoie tutte femminili che la mettono spesso in difficoltà di fronte alle cose della vita. Adesso ha deciso di tenerne un Diario. Un bel Diario in cui scrivere tutto quello che le passa per la mente. Per scoprire se riesce a conoscersi un po’ di più, per condividere i suoi pensieri. Per se stessa, per te.
Caro Diario,
Ho scoperto un altro tipo di felicità. È una felicità nascosta, direi impercettibile. Questo perché non crediamo che sia importante o ci hanno cresciuti dicendo che se ne può fare a meno. Ma io dico, viviamo una volta sola e se ci sono avvisaglie di una qualche tipo di felicità PRENDIAMOCELA! Oggi l’amore è un lusso che non possiamo permetterci. NO! La frase è indubbiamente sbagliata. Forse è più corretto dire che crediamo di non potercelo permettere e quindi finiamo con l’accontentarci e svalorizzare il nostro io interiore ed esteriore. Da qualche mese ho scoperto il piacere di prendermi cura di me stessa, esteticamente parlando. Non sento la necessità di piacere a nessuno se non a me stessa. Amo farmi la skin care, amo farmi un make up ricercato, rubando qua e là sul web trucchi e acconciature adatti anche a me. Avevo superato da tempo il problema del colore della pelle, ma scoprire di amarlo è stato un traguardo straordinario.
Giocare con il mio colore della pelle e con tutti i colori a disposizione nelle mie palette. Mescolarli e scoprire quanto questo mi metta di buon umore. Scoprire un outfit adatto e scattare qualche foto, solo per me. A quasi 40 anni suonati ho scoperto il piacere di guardarmi e di amare i miei difetti estetici. Eh si, le rughe cominciano a farsi strada. Non le temo e ogni settimana il mio volto mi racconta una storia. Ma non sono storie tristi come quando cercavo di piacere a tutti, sono storie che mi descrivono, che mi rappresentano e che spiegano cos’è stata la mia vita. Bella, brutta? A questo punto non importa. Sono arrivata fino a qui con tutta la forza che avevo e ora voglio guardarmi un pochino anche esternamente. Ma tutto questo mi porta alla scoperta di alcune cose di me che non sopporto. Naso e labbra. Ovviamente sottopormi ad interventi drastici proprio non mi va. Attraverso il make up ho potuto sistemare qualcosina. Il counturing! Che roba è? Disegnare le linee del viso, definire zigomi e anche il naso. Ma non mi soddisfa. Così ho pensato di concentrarmi sulle labbra. Ci sono un sacco di prodotti. Matite, lip plumper, rossetti rimpolpanti, ma niente da fare! Proverò il Filler! Una follia assoluta, ma si vive una volta sola e penso che sia bello potersi togliere qualche sfizio.
Un tuffo nei colori del nostro io esteriore.
Ho prenotato da un chirurgo specializzato e visto che il mio compleanno è alle porte ho pensato di regalarmelo. Sono emozionata perché non so cos’aspettarmi. Ma per una volta ho smesso di pensare a tutto e a tutti e ho deciso di donare a me stessa la possibilità di sentirmi bella solo per me!
È ricominciato il mio viaggio verso la perdita di peso. Non mi importa se è un etto alla settimana o un chilo al mese, so solo che ho bisogno di dedicarmi a me e alla mia salute psicofisica. Mi voglio troppo bene per non farlo. Da un po’ di tempo mi rendo conto di sorridere spesso. Il mio auto mutuo aiuto funziona benissimo. Mi conosco troppo bene e non mi mento mai. Sarei stupida a non approfittare di me per migliorarmi.
Di recente ho fatto un viaggio coi miei figli. Siamo andati via qualche giorno e come prima tappa siamo passati a salutare dei parenti. Non mi sono mai sentita tanto a disagio. Sempre sotto esame. Ti senti passata ai raggi X consapevole del fatto che qualunque cosa farai o dirai non andrà bene. Quanto è facile per le persone puntare il dito e giudicare senza conoscere senza avere la minima idea di chi tu sia. Di quali siano stati i tuoi disagi, le tue paure. La sera prima di ripartire ero in bagno e mi stavo facendo una skin care per la notte. Sentivo i pensieri invadermi prepotentemente in testa. Così li ho ascoltati e ho capito che in realtà non mi interessa. Io vado bene per me? Io mi piaccio? Cavolo si! Nessuno è perfetto e non vedo perché io debba impormi di piacere a chi in fin dei conti di me non sa nulla e tutto sommato non è interessato a conoscere niente della vera me!
Truccatevi, amatevi, pettinatevi, sognatevi come volete e provate a realizzare quei sogni. Non sappiamo quanto dura la nostra permanenza qui sulla terra. Godiamocela fino in fondo. Giochiamo coi colori e divertiamoci a scoprire anche così chi siamo.
Specchiarsi per scoprire le cose più belle.
Tutto sta negli occhi di chi guarda. Cosa vedono le persone quando ci guardano? E noi cosa vediamo quando ci guardiamo? La stessa cosa o molto di più?
Mi sono vissuta troppo poco, non ho capito subito di essere attenta e meticolosa nei confronti degli altri ma molto superficiale nei miei. Sia dentro che fuori!
I segni della vita sono la forma di bellezza più vera.
Vediamo questa nuova consapevolezza dove mi porterà. Come sempre un nuovo viaggio inizia con entusiasmo e con il sorriso.
Ciao, A presto, Agata
Ringraziamo tutte le socie e i soci che contribuiscono alla crescita del CURVY PRIDE BLOG, impegnandosi nel volontariato.
Qualche volta sono proprio le nostre famiglie o le persone care a giudicarci. Può sembrare strano, perché da loro ci aspettiamo amore e comprensione, invece è molto più frequente di quanto immaginiamo. Perché lo fanno? Lo fanno perché pensano di parlare per il nostro bene, senza rendersi conto che stanno proiettando su noi figli le loro aspettative, i loro desideri e le loro frustrazioni. Ripropongo questo articolo che ho pubblicato ad ottobre 2022 perché è un argomento sempre attuale e mi auguro che tu, se sei stata o sei ancora oggi figlia giudicata, possa trarne qualche spunto per riuscire a farti scivolare addosso questi pensieri e vivere un po’ più serenamente. Buona lettura!
Ti è mai capitato di sentirti bullizzata dalla tua famiglia? Strano a dirsi, eppure è possibile! Forse non ci viene mai in mente che a volte i primi atti di discriminazione li abbiamo vissuti proprio in quello che dovrebbe essere il nostro nido sicuro: la famiglia. So già che starai pensando che sì, ci sono casi limite in cui genitori problematici rovinano la vita dei figli negando loro affetto, amore, attenzione ma ti assicuro che ci sono altri modi per “incasinare” i figli e i rapporti. Se ci pensi un attimo e ti soffermi a guardare indietro, sono certa che troverai almeno un’occasione in cui avresti voluto che i tuoi familiari ti fossero più vicini, che cercassero di capirti, che prendessero le tue difese a spada tratta o che, semplicemente, ti abbracciassero in silenzio perdonandoti qualunque cosa avessi fatto. Nessuno è perfetto, non nasciamo col famoso libretto delle istruzioni! Quando diventiamo genitori ne avremmo disperatamente bisogno perché è facile sbagliare. Se incasiniamo la nostra vita da adulti la responsabilità è nostra e per noi stessi, ma quando si tratta della felicità di altri esseri umani messi al mondo da noi le cose cominciano a farsi ancora più importanti.
Rivestiamo diversi ruoli nella vita: siamo figlie, siamo amiche, lavoratrici, forse madri o sorelle; nessuno ci insegna come viverli al meglio delle nostre possibilità, ci portiamo dietro un bagaglio generazionale che molto spesso pesa tanto e ci impedisce di essere felici e di rendere felici gli altri. Pensa a quante volte hai detestato un certo comportamento di tua madre o tuo padre e di come ti sei ripromessa di non diventare mai come loro, oppure di come hai visto quella mamma viziare in modo -secondo te- vergognoso il suo bambino e poi, dopo anni, ti sei ritrovata a fare esattamente la stessa cosa, con gli occhi traboccanti d’amore e di indulgenza per il tuo pargolo specialissimo! Ti ci ritrovi? Io credo di sì. Forse non del tutto, forse in maniera non così eclatante ma comunque sai perfettamente di cosa parlo.
Il giudizio dei genitori pesa come un macigno
Senti, per esempio, cosa è successo a Silvia, una mia cliente, quand’era ragazza (tranquilla, mi ha dato il permesso di raccontarlo): tra lei e sua mamma c’è sempre stato un grande amore ma lei ricorda che, fin da piccola, la mamma le diceva continuamente che avrebbe dovuto dimagrire un po’, che sarebbe stato meglio mangiare meno e perdere peso. Quando aveva circa 12 anni Silvia si prese l’influenza, stava male e non si alzava dal letto. Dopo due o tre giorni la mamma arrivò in camera della figlia con in mano una bilancia pesapersone. Lei pensava che fosse salita per portarle un po’ di brodo o per vedere come stava invece aveva in mano UNA BILANCIA. A cosa poteva mai servire la bilancia in quel momento? Nonostante non si sentisse per niente bene e avesse la mente un po’ annebbiata, Silvia salì e vide che pesava esattamente come prima. “Ma non è possibile, tre giorni che non mangi e non hai perso neanche un etto!” Ecco tutto quello a cui riusciva a pensare la madre in quel momento! Quell’ago che andava su, mentre lei era stanca, aveva freddo e anche un po’ di capogiro la mortificò e la fece sentire in colpa, anche se lei di colpe non ne aveva affatto. Quell’episodio la ferì profondamente e per molto tempo Silvia si è chiesta come la madre avesse potuto pensare al suo peso mentre lei era febbricitante da giorni. Era una fissazione, un pensiero costante, pretendeva dalla figlia qualcosa che neanche lei riusciva ad ottenere: la magrezza.
Lei sa che sua mamma non voleva affatto farla stare male, non aveva intenzione di ferirla, desiderava solo che lei fosse più magra. Oggi, a quasi quarant’anni, Silvia è una donna di forme generose e, nonostante abbiano un bellissimo rapporto, si sente scrutata e giudicata ogni volta che indossa un vestito un po’ più corto o qualcosa che ALLA MAMMA non piace. La mamma è convinta che certi abiti mettano in evidenza una parte del corpo di Silvia che non rispecchia i canoni di magrezza e che LEI nasconderebbe.
Ecco dove sta il punto: la mamma tende a proiettare i SUOI desideri, le SUE aspettative e le SUE convinzioni sulla figlia. Questo lo facciamo un po’ tutti noi genitori, chi più e chi meno; siamo fermi sulle nostre idee e siamo certi di fare il bene dei nostri figli dicendo loro chi devono essere, come devono comportarsi e cosa provare di fronte al mondo, ma così facendo imprimiamo in loro quello che pensiamo noi. E noi siamo noi, con le nostre storie, le nostre paure e i nostri gusti personali; i nostri figli sono un’altra cosa, pensano a modo loro e vogliono vivere secondo i loro valori!
Sono certa che i commenti sul fisico, le battutine ironiche sul “mangiare come camionisti”, i continui riferimenti ai difetti che riteniamo di avere, siano deleteri per noi e per chi cresciamo con tanto amore. Facciamo i salti mortali per portare le ragazze a fare sport affinché acquisiscano sicurezza e agilità e poi le affossiamo con questo tipo di comunicazione.
“Mangia di meno, dovresti dimagrire, staresti meglio”. Parole che fanno male
Chissà se anche per te è stato così, se ancora oggi ti porti dietro le conseguenze di ciò che hai vissuto da piccola, se con i tuoi figli sei la fotocopia della tua mamma brontolona o se invece sei riuscita a tirare fuori la parte di te che ti serve per essere la mamma che vuoi!
Ti lascio con un’ultima riflessione: sappi che le persone agiscono per ciò che conoscono, si comportano al meglio di come possono fare in quel momento.
Silvia, essendo una donna molto serena e sicura di sé, non biasima la sua mamma per quello che le ha detto e che ancora oggi le fa capire tra battutine e sarcasmo. Lei sa che l’ha sempre amata tantissimo, solo che lo esprime così, in un modo non costruttivo.
Quello che sicuramente possiamo fare noi, generazioni più giovani, è informarci e fare il possibile per crescere figli che non debbano sentirsi continuamente sotto esame, soprattutto per come appaiono. Questo è uno dei valori fondanti dell’ Associazione Curvy Pride- APS: siamo persone, non siamo taglie e non siamo perfette: così come non lo è la mamma di Silvia che ha agito per amore, così come non lo sono io, né tutte voi che state leggendo. Ognuna di noi fa del suo meglio per le sue possibilità e quando c’è bisogno di aiuto, di confronto, di crescita e di unione c’è Curvy Pride.
Questo articolo è stato scritto da Fabiana Sacco, socia e staff di CURVY PRIDE – APS. Ringraziamo tutte le persone che dedicano il loro tempo alla crescita del Curvy Pride Blog, impegnandosi nel volontariato.
Fabiana Sacco è stata consulente di bellezza per più di 25 anni nei quali ha raccolto le confidenze, le paure e i sogni di centinaia di donne. Il suo cammino di crescita l’ha portata a diventare una Coach e il suo lavoro è aiutare tutte le donne a ri-trovare la loro autostima e sviluppare i loro talenti, indipendentemente dalla fisicità. “Curvy Pride rispecchia alla perfezione i miei valori ed esserne membro è per me un onore, tutte insieme cambieremo il mondo!” MAIL info@fabianasacco.it