Con la parola disfunzionale si intende ciò che non corrisponde ai propri compiti o fini. Io direi più ciò che fa male. Esistono rapporti che ci causano ferite indelebili. I momenti difficili e i periodi dolorosi ci fanno cambiare. In questa rubrica vi racconterò alcune storie di vita di chi, in qualche modo, ce l’ha fatta.
La storia di Marta
“Io sapevo che se avessi voluto continuare la mia carriera accademica in Semiotica avrei dovuto assecondare in qualche maniera quei complimenti del mio professore e non farlo sentire sbagliato o inopportuno…perché lui mi avrebbe altrimenti reso tutto più difficile.”
Queste parole sono di Marta, che conosco dai tempi dell’università. Lei è più grande di me di 5 anni ed è sempre stata una ragazza di carattere tenace e caparbio. Lavorava e studiava insieme, avevamo iniziato comunicazione pubblicitaria all’università di Modena e Reggio Emilia che io avevo 23 anni e lei quasi 28.
Arrivava la mattina con la faccia sconvolta, mi ricordo che entrava quasi sempre a lezione già iniziata e nonostante ciò non si perdeva una virgola. I suoi appunti erano più precisi dei miei, con una calligrafia ordinata e pulita, mentre la mia sembrava quella di un medico antico e ormai mezzo orbo. Ad ogni cambio d’ora mi avvicinavo per parlarle. Lavorava in un’agenzia assicurativa e aveva chiesto se sotto sessione d’esame potesse ridurre un po’ le ore per poter studiare. Era siciliana, di Agrigento e aveva portato tutta la sua sicilianità in quella Reggio Emilia così fredda e umida che ti gelava le ossa anche con il piumino addosso.
Nonostante il clima, Marta riusciva a rendere tutto più casa: sarà stato per il suo accento del sud, per il profumo delle cassate o delle mandorle, ma ovunque andasse portava con sé il suo calore. Dopo le prime settimane si creò un gruppetto di amiche. Eravamo in quattro: io, Marta, Anna e Ludovica che erano iscritte ad altri corsi, facevano editoria. Anna era salernitana, Ludovica calabrese, e io la nordica che però ho indole, cuore e approccio alla vita e alle persone tipico del sud.
Hanno sempre creduto io fossi campana o pugliese, mi chiamavano “la napoletana del nord“.
Gli anni della specialistica corrono veloci ed in tre anni mi ritrovo con un’altra laurea in mano senza sapere che farne. Ognuna di noi quattro prende una via diversa. Ludovica e Marta rimangono a Reggio Emilia, creando entrambe una famiglia, Anna si sposta a Modena ed io che le cose le faccio in grande, decido per impulso e mentalità a me più affine di scegliere Bologna.
Continuiamo a vederci con meno frequenza ma a sentirci in un gruppo WhatsApp chiamato Noi sempre uguali dopo anni, o almeno questa la nostra speranza.
Spesso ci mandiamo messaggi, condividiamo idee, video dei tempi andati. Siamo tutte amiche anche se è normale che si creino delle affinità elettive o preferenze per modo di fare. Io e Marta spesso ci sentiamo anche in privato, con lei ho una confidenza speciale. Un giorno mi invita da lei per cena, il suo compagno di una vita è fuori città per un convegno e lei ha deciso di approfittarne per una serata di confidenze tra amiche.
Vino, tartine, bruschette con i pomodorini, gli equilibristi di mestiere loro, rimangono perfettamente stabili sulle bruschette di Marta. Cosa che ovviamente non succede a me, al primo morso ecco che mi vola sul pantalone bianco una bella chiazza rossa. Non sono io se non lascio il segno in qualche modo! Poco male, la cena continua con delle meravigliose linguine ai gamberetti e poi dei cannoli al pistacchio appena sbarcati anche loro da Lampedusa che sono spariti in un attimo.
Marta è serena, libera e spensierata fino a che ci mettiamo sul divano. Accende la tv mi dice: “Ti ricordi quando ad ogni lezione di Semiotica io volevo sempre stare in prima fila ? E che potevo fare ritardo a tutte le altre lezioni ma mai a quella? Beh, il professor Marco per me non era un semplice professore, lui così galante e attento ad ogni mio dubbio, ad ogni domanda, aveva visto in me un potenziale e voleva farmi arrivare ad avere la sua cattedra, mi stava prendendo sottobraccio per farmi arrivare ad insegnare la sua materia dato che dopo qualche anno lui sarebbe andato in pensione.”
“Ma Marta ma non mi hai mai detto nulla di tutto ciò? Non sapevo che avessi questo sogno! E poi cosa è successo?”
“È successo che quel famoso weekend di aprile 2013 io non ero andata a trovare mia zia a Parigi, ma ero andata con lui ad un convegno alla Sorbonne, pensa che sapevo tutto di Charles Sanders Peirce e la semiotica era diventata la mia ragione di vita. Non mi resi subito conto che Marco non aveva un’ammirazione verso una studentessa ma si era creato un rapporto di sudditanza in cui lui era il Master e io la Slave. Ha utilizzato il suo potere da superiore, uomo, accademico con fascino facendomi capire che ero la sua creatura, che poteva fare di me ciò che voleva. Ecco cosa cosa c’era in realtà dietro quell’interesse nei miei confronti! Lui scriveva e io partivo, lui mi chiamava e io volavo dall’altro capo del mondo, ovunque lui fosse, avevo solo bisogno della sua ammirazione che piano piano stava svanendo poiché si parlava sempre meno di università e sempre più di quello che lui voleva fare con le mie cosce, la mia vagina, il mio ventre, il mio collo, la mia schiena per concludersi nella mia bocca.
Non so come siamo passati da essere professore e alunna ad essere due amanti. Io creta nella sue mani, ero ciò che lui voleva quando lo voleva.“
La ascolto esterrefatta. Sono passati nove anni e ora Marta mi dice che ha avuto una relazione col nostro professore. Non ho parole, la guardo basita.
“Lo so che sei sconvolta, nemmeno Anna e Ludovica lo sapevano, mi vergognavo troppo, non riuscivo ad uscirne, era diventato un gioco pericoloso di cui non potevo fare a meno. Ti ricordi che ci misi anni a passare semiotica? Sai perché? Perché lui aveva capito che volevo smettere. Infatti dopo mesi mi svegliai da quel torpore e mi resi conto che ero in un vicolo cieco e che ero assuefatta da una situazione che non avrebbe portato a nulla. Avrei solo perso anni della mia vita e così smisi di essere la Marta disponibile sessualmente e Marco si imputò. Non mi diede più un voto decente, ci misi due anni per prendere un venti.
Ho dovuto chiudere quella situazione di dipendenza perché stavo perdendo me stessa e anche le cose importanti. Dopo quel voto finalmente chiusi la partentesi Marco. Marco professore, Marco Master, Marco che mi voleva dare un futuro in università e ricominciai da Marta.
Mi dispiace non averti detto nulla, ma io non sapevo davvero come fare. Mi vergognavo ed ero in una spirale di emozioni da cui non sapevo uscire; mi punivo per essere rimasta lì, intrappolata in quella ragnatela in cui non avrei mai dovuto entrare. Sono riuscita a rifarmi una vita solo adesso, dopo nove anni. Mi hanno aiutata la psicoterapia e l’apertura verso ambiti completamente diversi.”
Dopo quella confessione la abbraccio forte. Non riesco a pensare che mi abbia tenuto nascosto tutto questo per anni ma nello stesso tempo mi rendo conto che è come un uccellino che esce dal nido per la prima volta, sbattendo forte le ali per imparare a volare.
Questa storia mi ha colpita nel profondo. Mi dispiaceva per lei ed ero rimasta anche un po’ ferita che non me ne avesse parlato prima. Ci ho messo qualche giorno, ma poi l’ho chiamata per dirle: “Ti voglio bene, ci sono e ci sarò sempre, ma non tenermi più nascoste certe cose anche se hai paura a farlo, io non ti giudicherò mai.”
Nota dell’autrice: i nomi di questo racconto sono tutti di fantasia per proteggere la privacy dei protagonisti.

Ringraziamo tutte le socie e i soci che dedicano parte del loro tempo alla crescita del Curvy Pride Blog, impegnandosi nel volontariato.

Laureata in comunicazione pubblicitaria, ha nel cassetto un libro che vorrebbe pubblicare.
Una delle sue passioni è parlare con gli sconosciuti, ascoltare le loro storie e sapere cosa li ha portati lì in quel momento.
Si definisce “Reporter di vite”, ed è proprio quello che fa attraverso il nostro Curvy Pride Blog.